O meglio: diciamo che i giapponesi non hanno inventato il Sushi 1.0, una cosa chiamata Narezushi.
Il Narezushi venne introdotto in Giappone circa 2.000 anni fa dalle risaie intorno al fiume Mekong, nell'Asia Sud Orientale, dove il pesce veniva fermentato con il sale e il riso affinchè si mantenesse commestibile anche nel clima caldo e umido. Inizialmente, però, al momento del pasto, l'involucro protettivo fatto di riso veniva gettato via.
Nel corso dei successivi 1.400 anni, i gusti dei giapponesi cambiarono, indirizzandosi verso il pesce semi-fermentato con riso. Questa evoluzione prese il nome di Namanare, fatto di pesce parzialmente crudo, avvolto nel riso acetato (che accelera il processo di fermentazione) e mangiato "fresco".
Infine, nel XIX secolo nacque il Sushi vero e proprio: finalmente il riso non veniva più utilizzato per la fermentazione, ma lavorato con aceto e guarnito con pesce crudo e verdure…e Nigiri e Maki divennero sempre più popolari a Edo (un antico nome di Tokyo). Proprio così. Per essere un "fast food", il sushi ci mise un bel po' a fare la sua comparsa, soprattutto perchè all'inizio era un alimento economico...solo per gli, ehm... edochiani.
Fin da subito il Sushi viene considerato un “fast food” poichè la combinazione di riso e pesce crudo richiede grande abilità da parte degli artigiani del sushi, ma non richiede molto tempo da dedicare alla preparazione. Nel 1800, in quella che oggi è Tokyo, cominciarono a spuntare dei chioschi a bordo strada che proponevano snack da asporto, socialmente accettabili anche per coloro che si recavano a teatro, e spuntini per il picnic alle famiglie che decidevano di trascorrere una giornata al parco (soprattutto durante la stagione della fioritura dei ciliegi).
Anche se a quei tempi nella capitale c'erano due ristoranti di sushi per ciascun ristorante di soba (noodle), ci volle il grande terremoto del Kanto del 1923 per sdoganare a livello nazionale il sushi. In quell'occasione, infatti, i sushi chef furono costretti ad abbandonare Tokyo alla ricerca di lavoro, portando con loro le proprie abilità e le proprie ricette.